La seconda guerra mondiale era entrata nella sua
fase più acuta. Imperversava su tutta l'Europa portando lutti immani e
distruzioni catastrofiche in ogni angolo più remoto. Il popolo, ormai stanco e
provato dalla guerra e dagli stenti economici, anelava ardentemente che il
conflitto prendesse una svolta decisiva qualunque ne fossero state le
conseguenze.
Come tantissime città
e paesi, anche il nostro venne colpito dal furore che ogni guerra comporta per
cui i continui bombardamenti aerei e navali, notturni e diurni, costrinsero la
popolazione castellese a cercare un riparo più sicuro fuori dell'abitato.
Nel nostro caso particolare, i castellesi si
dispersero per le campagne circostanti e lungo la costa che, grazie alla sua
natura rocciosa, dispone di una serie di grotte naturali,sicuro rifugio contro
la violenza degli elementi bellici. E così, abbandonando ognuno la propria casa
e portando con sé lo stretto necessario per una convivenza provvisoria in
comune, una parte si diresse nella proprietà del Sig. Salvatore Finocchiaro il
cui terreno dispone di alcune grotte e anfratti a protezione delle incursioni
aeree e navali. Un altro gruppo, il più consistente, trovò asilo dentro la
galleria ferroviaria subito
dopo la stazione di Acicastello. Ovviamente i convogli ferroviari non
transitavano per la paralisi totale inflitta a tutto il traffico ferroviario. Un
terzo gruppo trovò sistemazione nelle ampie grotte sotto il Castello e nei suoi
dintorni.
Qui,
lascio immaginare a chi leggerà questo scritto, le privazioni, i disagi, le
sofferenze subite a lungo dagli sfollati e se questi luoghi e nascondigli per la
sua naturalezza avevano il solo pregio di trovare riparo, di contro presentavano
le scomodità più inaudite. Trascorrere la notte, poi, in queste caverne, era
la sofferenza più pesante, più asfissiante; si riposava per terra senza poter
chiudere occhio fra quella massa brulicante di gente incapace di trovare
refrigerio, anche il più elementare; il rigore imposto dalle
Autorità,
ci costringeva a stare al buio più
completo in un ambiente affumicato dal lungo transitare dei treni a carbone e
per giunta scarseggiava fortemente il sapone e non solo questo ma tutti i viveri
di prima necessità e l'acqua; per i bambini e gli anziani la situazione si
presentava disastrosa.
Termino di narrare dette impressionanti cronache vissute
tanti anni addietro ma che ancora oggi sono vive e incancellabili nella mia
memoria. Continuava così la vita sempre triste e colma di paure che il
terribile sibilo delle sirene ci preavvisava l'allarme.
Il 18 luglio 1943, alle ore 12,30, per bombardamento navale,
viene colpita, per la prima volta, la Chiesa Parrocchiale di S.Mauro causando
sensibili danni alla cupola. Per tale bombardamento, una vittima e tre feriti.
In quello stesso giorno doveva avvenire la sacra ordinazione di tre nostri
concittadini: Belfiore Giuseppe, Cirone Francesco e Sagù Igino. All'ultimo
momento però il Vescovo Mons. Russo spostò la cerimonia a S.Maria Ammalati
come se presentisse il pericolo. Saggia decisione fu quella del Vescovo; se così
non fosse stato, chissà quale disastro e quanti lutti.
In una calda serata del mese di luglio e precisamente
il giorno 21 del 1943, prima delle ore 19 le sirene, avendo dato l'allarme di
una prossima incursione aerea, ci siamo premurati di entrare nei rifugi. Non
sappiamo se uno o più aerei, il cui rumore dei motori si confuse con lo
scoppio dei proiettili dell'artiglieria contraerea installata nella rotonda di
Piazza Castello che guarda Acitrezza e dalla contraerea di Catania e poiché i
piloti (si dice che siano stati anglo-americani) vedendosi molestati,
sganciarono quattro micidiali bombe che proprio andarono a colpire la Chiesa ed
erano esattamente le ore 19,10; un obiettivo ben distante dalla postazione
contraerea; altri dicono che dette bombe erano dirette alla Casa Canonica,
attigua alla Chiesa,nella quale aveva trovato dimora un Comando Militare.
Fatto sta che dette malaugurate bombe, destinate per la
postazione contraerea o per la Casa Canonica, andarono a colpire la Chiesa di S.
Mauro che non aveva niente a che vedere come obiettivo militare.
Un grande fragore fece scuotere la terra e
noi tutti, intanati nei rifugi, abbiamo capito subito che era stato colpito il
paese e cessato l'allarme, siamo usciti dalle nostre tane per vedere quanto di
grave era successo.
Dall'alto della galleria, dove eravamo
rifugiati, ai nostri occhi si presentò una scena apocalittica da non
dimenticare. Una fitta nuvola immensa di polvere e fumo, avvolgeva tutto il
paese e abbiamo capito subito che si trattava della Chiesa di S. Mauro. I più
coraggiosi siamo scesi in paese a constatare di persona l'entità dei danni che
purtroppo risultarono assai gravi. Assieme a noi si unirono anche gli altri
venuti dai vari ricoveri per prestare gli eventuali soccorsi.
Era l'orario che si recitava il rosario e la
benedizione poiché a quell'epoca non era ancora in vigore celebrare la messa
vespertina e le undici persone che si trovarono in Chiesa, non si sa come ma
solo per un miracolo, rimasero illesi in mezzo alle macerie, benché ferite: il
Parroco don Salvatore Zumbo, il Vice Parroco don Stefano Sciuto, Zumbo
Francesco di Egidio fratello del Parroco, Graziella Lanzafame di Sebastiano,
Pippa Porto di Antonino, Greco Giuseppina vedova Patanè, Cacciola Angela,
Nicosia Giovannina, Roma Rosa, Romano Giovanna e Romano Giuseppe. Una
vittima: Francesco Leotta.
Ai nostri occhi atterriti la visione si presentò nella più
squallida e impressionante realtà. Crollato il tetto e la cupola e quasi tutti
i muri perimetrali, i castellesi piansero amaramente per essere stati colpiti
nell'affetto più caro, nel simbolo più prestigioso della loro fede: "San
Mauro".
E' un compito assai difficile poter descrivere
l'immane spettacolo sconvolgente che si presentava davanti. Di tutte le cose
sacre e arredamenti che corredavano la Chiesa, non rimaneva proprio niente o
poca cosa. Le pregevoli statue (specie quelle dell'Addolorata e del Crocifisso)
di eccellente fattura, forse perché di gesso o di cartapesta, si dissolsero
come nebbia al sole; tutto era desolazione, polvere, calcinacci, rovine, cenere;
non volevamo credere di essere stati così duramente colpiti; guardavamo
attoniti in ogni angolo nella speranza di poter ricuperare qualche oggetto sacro
diventato ormai un raro cimelio.
A centro della Chiesa
si vedeva quasi una voragine dentro la quale si scorgevano tombe scoperchiate e
ossa umane sparse ovunque; una visione alquanto macabra che nessuno di noi si
aspettava. Si venne a sapere in seguito che un tempo ivi venivano sepolti gli
abitanti per cui la Chiesa fungeva da cimitero. Lo stesso uso era praticato
anche nella Chiesa di S. Giuseppe.
Gli altri preziosi simulacri del Cristo Morto, del Cuore di Gesù,
di S. Giovanni Apostolo, di S. Antonio di Padova compresi i dipinti, furono
letteralmente spazzati via come dalla furia di un uragano; come se non fossero
mai esistiti.
Ma, in tutta questa visione di sconforto che ci faceva veramente
soffrire e mentre ci aggiravamo fra le macerie ancora fumanti, fummo consolati
alla vista del simulacro di S. Mauro con
la sua mano benedicente; era rimasto in piedi nella sua cappella anch'essa
semidistrutta attraverso la quale filtravano gli ultimi raggi del sole morente;
un tramonto tragico e commovente che ci fece tramontare per sempre il fascino
artistico di cui ne era ricca la Chiesa.
La
statua era lì, sfiorata alla schiena da alcune schegge ancora oggi addosso al
simulacro a testimoniare l'immane tragedia. Se volessimo sforzarci a capire come
sia stata possibile la sola sopravvivenza della statua in tutto quel marasma
desolante, siamo sicuri di non riuscirci. Il minimo che si può capire è che S.
Mauro ha voluto restare con noi; ha voluto che il suo simulacro si salvasse per
benedire ancora in futuro il suo diletto popolo, facendoci dono prezioso e
ricompensa verso i castellesi per essere stati figli
devoti. Anche questo ha sapore di prodigio e senso di miracolo.-
Domenico Licciardello (detto Enrico)