La «Vara» o Fercolo
è il pesante carro su cui vengono portati in processione, dal lontano 15
gennaio 1916, il Simulacro e le Reliquie di San Mauro. E’stata costruita dagli artigiani catanesi
Vincenzo Cuscunà e figli, su direttive dell'ing. Paolo Lanzerotti per un
costo complessivo di L.3.300, somma che fu raccolta in circa due anni dagli
emigranti castellesi d'America.
Essa è di legno di pioppo stagionato a sei colonne
corinzie, in puro stile barocco, dorato in oro zecchino, con le fondate in
argento verniciato.
La cupola è tutta rivestita di una lamina di argento
sbalzato a mano.
Quattro putti in piedi sopra i capitelli sembrano
sorreggere la cupola, mentre altri quattro sono seduti agli angoli.
Nel 1979 è stata arricchita da 5 preziosi candelabri in
argento che hanno sostituito quelli esistenti in legno.
Nel 1980, poiché gli assali e le vecchie ruote in
legno si erano logorati e non offrivano più quella necessaria sicurezza di
cui l'artistico mezzo aveva bisogno, si è reso necessario sostituirli con gli
assali di un autocarro, e con delle modifiche appropriate hanno trasformato la
«Vara» in un mezzo sicuro e facile da guidare.
Successivamente, per agevolarne il procedere per le
vie cittadine, sono state installate delle grosse funi, i cosiddetti
«Cordoni», che vengono tirate dai fedeli. |
Il Santo sta sull'altare in posizione eminente ad ascoltare le
preghiere dei fedeli ed a benedirli, ma il popolo lo ha sempre
voluto tangibilmente ancora più vicino, davanti alla porta di casa,
magari una volta l'anno. Non poteva però in tale occasione scendere
al livello dei passanti o essere portato sulle spalle, doveva invece
essere creato per lui un altro altare ed un'altra piccola
chiesetta:la vara assolveva questo compito e, senza andare ad
affondare le nostre vicende nelle generiche storie del folklore,
penso che ad Aci Castello S. Mauro è sempre stato sulla vara dal
primo giorno che è stato portato in processione per le vie del
paese. Le documentazioni più antiche (inizio Seicento) infatti ci
informano sulla necessità di allargare la strada per permettere lo
svolgimento di tale processione perché presumibilmente la struttura
della vara era ingombrante e, più dettagliatamente, fra le spese del
1638/39 è indicato l'acquisto di un ligno
per la vara del Santo. Da queste scarne tracce risaliamo
a notizie più sostanziose nei secoli successivi, ognuno dei quali ci
ha regalato la costruzione di una nuova vara. Il 30 giugno 1722 il
vicario Pietro Paolo Romeo si rivolse per tale opera a due mastri
catanesi, Giuseppe Turrisi fu Stefano e Gioacchino Cirolli fu
Giuseppe, che si obbligarono di farli e
lavorarli una bara portatile per condursi, lì dentro, la statua di
S. Mauro di legname d'albano ed abbito delli Cropari, lavorata ed
intagliata giusta la forma del disegno fatto e sottoscritto da detto
vicario. Li misure proporzionate
alla statua, e questo, una col suo baiardo. I mastri
avrebbero pensato alla legname, a tacci,
chiova, colla e tutti li ferramenta varii per lo Baiardo, eccettuati
li palocchi di ferro. Si obbligarono a consegnare
baiardo e zocculata al primo
d'agosto per permettere la festa estiva (penso), però di
rustico, ed il resto al primo
gennaio 1723. Si pattuì per 13 once
ed il vicario diede loro anche due legni, forse quel poco che
rimaneva utilizzabile della vecchia vara.
I lavori per abbellirla continuarono con la doratura e con i tanti
altri accorgimenti di cui fino ad oggi i fedeli sono abitualmente
prodighi. Fu portata per le vie del paese fino metà del secolo
successivo perché, nel 1846, finita la festa estiva i mastri di
festa si accorsero che essa non era più in condizioni decenti per
ospitare il simulacro del Patrono.
La Commissione Ecclesiastica (il vicario Antonino Tropea, il sindaco
don Carmelo Di Mauro fu Giovanni, don Antonino Valastro fu
Francesco, e don Sebastiano Battiate fu Venerando, tutti possidenti)
pertanto il 22 settembre incaricò uno scultore acese, Antonino
Fichera di Rosario (abitante in Strada Cosentini) e gli diede quasi
un anno di tempo (fino al 30 giugno 1847) per consegnare l'opera il
cui prezzo fu pattuito (a colpo e strasatto) in 30 onze (e 24 tarì)
più il solo baiardo vecchio con suoi
ferramenti come attualmente si trova.
Le
condizioni essenziali del contratto erano le seguenti:
1) II legno del baiardo deve essere di
abbete o zappino di Calabria, dei così detti legni di tratto, di
lunghezza palmi 30, ma che i due astoni del baiardo che fossero di
lunghezza palmi 23 di netto e di grossezza non di meno onde 7 di
faccia con 4, a dir meglio il legno così detto travetino secato a
palmi 23 per tutta quella grossezza che resulterà.
2) Pel dippiù di detto baiardo, come siano i
quattro piedi di sostegno ed altro, devono essere di detto legno
abbete con suoi ferramenti, cioè cracchi, maniglie e cerchi nelli
estremità dei legni che posano a terra e sporgino fuori.
3) II piedistallo di detta bara di legno
albanello della grossezza di oncia una e mezza e di altezza secondo
il disegno, composto di una sola larghezza e la cornice di finimento
di detto piedistallo deve essere di legno noce, gli altri cornici ed
ornati di quel legno che meglio crederà il Fichera.. ad eccezione
dell'ornato di sopra il solo cubbolino deve essere di legno noce,
vale a dire li quattro adorni maggiori di detto cubbolino.
4) Le quattro colonne
maggiori della bara di legno albanello.
5) I quattro pilastri devono avere ognuno
tre miccie che devono approfondarsi per quella intera grossezza del
piedestallo il cui piano deve esser foderato o coperto di legname di
abbete di una grossezza (cm 2,30)
6) Gli ornati devono
essere rivettati nei contorni.
7) II cubbolino, foderato di tela,
interamente di legno abbete leggiero per quanto possibile così come
la bara.
La spesa del trasporto ad Aci Castello fu a carico del Valastro che
era il tesoriere della Commissione.
Di questa vara resta ancor oggi il baiardo,
cioè tutta la base portante, forte come l'omonimo cavallo del
leggendario Rinaldo paladino. Esso fu riutilizzato e trasformato in
base portante sei colonne (invece delle primitive quattro) da
Vincenzo Cuscona e dal figlio Rosario, abilissimi artigiani catanesi
che avevano già mostrato la loro perizia, fra l'altro, nelle
candelore di S. Agata e nella trezzota vara di S. Giovanni. Essi, il
3 agosto 1913 sottoscrissero il contratto per la nuova vara con la
Commissione formata da Giuseppe Patanè, Antonino Privitera, prof.
Giuseppe Maugeri, Mauro D'Amico, Antonino Calanna, Pasquale Viscuso,
Michele Aleffi per il prezzo di lire tremila e trecento,
impegnandosi a consegnare l'opera per la festa di gennaio del 1915.
La somma fu versata dagli emigranti castellesi negli Stati Uniti che
impiegarono due anni per raccogliere quel capitale.
La vara continuò ad essere portata
sulle spalle come per il passato poi, negli anni 30, per ovviare
alle scosse che subiva lungo il percorso, fù attrezzata con le ruote
che si sono giovate nel tempo anche dei vari ritrovati tecnici
moderni.
Ad inizio di questo decennio fu compiuto un corposo restauro conservativo
grazie alle cure della Congregazione di S Mauro, molto attenta di
volta in volta a riparare i guasti cui va incontro durante le feste
annuali ed a renderla sempre lucente per tali occasioni. E’
conservata nella casa vara, oggi
in via Re Martino.
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