|
|
|
Nei primi secoli del nostro millennio, la paura di assalti delle barche saracene
lungo le nostre coste era proprio tanta e, considerata l'importanza che
rivestiva la custodia del Santissimo, non deve meravigliare alcuno se allora nel territorio acese fosse stato scelto come sua stabile dimora sicura il Castello,
luogo fortificato e inaccessibile dal quale poi condurlo nelle varie contrade.
Fra l'altro tutto lascia credere che in quei tempi sul Castello abitasse il
signorotto (Re, vescovo-conte o barone che fosse) ed è chiaro che era lui a
gestire le cose più importanti della terra e del territorio che gli erano
sottomessi cercando di sfruttarle nel migliore dei modi.
E' per
tali motivi che non si può fare a meno di assegnare la primogenitura delle
chiese acesi alla cappella del Castello anche se motivi di ricchezza
demografica ed economica imporrebbero altre scelte. . . . .
. . .
Tutta la vita religiosa della zona
faceva capo a tale chiesa; da lì, quand'era il caso, il Sacramento era portato
nei vari punti della contrada e nelle altre chiese con un accompagnamento che,
solenne o meno secondo le occasioni, tuttavia c'era sempre, cosi come non
mancavano le luci di lampe di vario genere. Era il Signore che usciva
dalla sua casa per visitare il popolo (in generale) o il malato (in particolare)
e non poteva mancargli il decoro, anche di notte sotto l'infuriare della
tempesta, come vuole il rito della processione cristiana che da qui prende le
mosse. Al suo passaggio c'era poi un generale ossequio, magari imposto dai
decreti civili ma, in sostanza, parecchio sentito. Nello stesso tempo
il Sacramento assegnava alla chiesa che lo deteneva non solo un gran prestigio,
ma anche una rendita finanziaria non indifferente perché i popoli erano
prodighi nell'offrire tutto quello che era in loro potere (i lasciti erano un
fatto normale), oltre ai donativi cui spesso erano costretti per il suo
mantenimento.
Presumibilmente
da quando sulla rupe del Castello le strutture edilizie avevano assunto una
connotazione cristiana, era sorta una chiesetta che godeva del possesso del
Santissimo Sacramento, quasi ad illuminare dall' alto tutto il territorio acese.
Era
questo un privilegio che essa concedeva, fra le altre, anche all'altrettanto
piccola chiesa di S. Mauro, nata successivamente al centro del paesino
sottostante. Gli amministratori (i mastri d'opera)
di quest'ultima però
dovevano, di volta in volta, dopo aver cercato il celebrante, rivolgersi al
Castellano perché quella popolazione potesse accedere ai sacramenti senza che
fosse costretta a salire sulla rupe (nel tempo non sempre raggiungibile, per
vari motivi). Essa, fondata su un beneficio antichissimo, era tuttavia riuscita
negli anni a concentrare su di sé la fede religiosa di quegli abitanti e tale
azione era divenuta più forte quando, dopo il 1531, non era stato più il
barone a guidare dal Castello la città di Aci.
Nella
seconda metà del secolo, ormai tutto il popolo sosteneva questa Chiesa e ne
chiedeva la sacramentalità. C'era però qualcuno che remava contro ed
intorbidava le acque e, di ciò, nel 1580, i mastri d'opera
protestarono col vescovo. . . .
A parte l'azione furtiva, si tentava anche di non far
trasparire le forze materiali della Chiesa per impedirne la conquista della
sacramentalità ed una vita religiosa liturgicamente più regolare. Ormai,
tuttavia, la situazione era divenuta insostenibile e il 12 marzo 1581 il vescovo
concesse che "...in dicta eclesia di Sancto Mauro di
quessa terra di giachi si possa deteniri lo dicto Santissimo Sacramento
Eucharistia che li populi si possano di quello favoriri per loro comodità
detinendolo poi cum quello debito honuri et reverentia che conveni bene ornato
di lampadi e di altri ad tanto Sacramento necessarii ".
Ovviamente il Castellano, don Pedro
Seminara, non fu d'accordo. . . .
. . . Il Vescovo diede ragione ai castellesi poiché è chiaro che, mentre
continuò l'irreversibile declino della cappella, si svilupparono parallelamente
di converso il culto per S. Mauro e la vita di quel nucleo abitativo che
all'abate benedettino ha affidato le proprie sorti perché la difenda come protettore
in terra e avvocato in cielo. . . .
.
. . . Interessi sociali ed economici permisero la formazione di un
aggregamento urbano attorno alla Chiesetta e furono i suoi abitanti a fare della
fede per il Santo la bandiera per manifestare la loro identità. Così i primi
secoli di vita della Chiesa furono improntati ad una guida laica: erano i
mastri d’opira a battersi perché la vita religiosa fosse caratterizzata
dalle funzioni liturgiche, erano loro che, con lasciti o elemosine
di vario genere permettevano al sacerdote di venire nella loro chiesa, anche
se tutto formalmente passava dalle mani del vescovo catanese.
La
funzione di guida fu assunta dai religiosi poco a poco (e solo dopo che la
Chiesa divenne sacramentale), ma l'amministrazione rimase spesso in mano ai
civili, anche se solo raramente essi riuscivano ad operare in modo diverso dagli
intendimenti del sacerdote che, fra l'altro, aveva dato precedentemente il suo
parere al vescovo perché fossero messi a quel posto.
La
festa, chiaramente antica, iniziò solo nel 1606 in maniera ordinata, con il
contributo dell'amministrazione municipale.
|